lunedì 17 novembre 2014

Crescendo in Lingua 2013/2014: La cloccha de moun pai





Nella sua ricca produzione artistica, letteraria e musicale Guido Ressent ha toccato i vari temi della vita del secolo scorso e tra questi ha anche prodotto una lirica avente per tema l’emigrazione che ha sempre rappresentato, oltre ad un’innata voglia di nuove scoperte, un’opportunità di lavoro e di ricchezza. Ci racconta che almeno un centinaio di persone del Comune di Roure hanno cercato fortuna soprattutto in Francia, riuscendo non soltanto a raggiungere un benessere economico ma a sviluppare le varie attività fino a diventare essi stessi datori di lavoro specialmente nel campo della ristorazione, aprendo ristorant ed hotel ancora attualmente in auge. Molti giovani valligiani partivano consci di dover fare i lavori più umili; la val Chisone ha sempre prodotto i camerieri più qualificati e nell’arco degli anni, con grandi sacrifici, hanno addirittura rilevato le attività dove erano entrati come inservienti. Il particolare dell’emigrazione di cui parla Guido nella sua poesia Lâ clòccha dë moun paî deve essere collocato storicamente tra la fine 800 ed inizio 1900. La poesia sfiora questo tema anche personale trattandosi di un pezzo della vita di suo padre Vittorio, classe 1873, che all’età di 18 anni, una “bella mattina” partì a piedi dalla frazione Combal di Castel del Bosco alla volta della Provenza in Francia, da dove era giunta la voce che cercavano manovali ed operai generici. Al tramonto, dopo 60 chilometri negli scarponi, arrivò finalmente al confine del Monginevro dove rischiò d’essere arrestato perché non aveva le “carte in regola”. Ma il giovane Vittorio non si scoraggiò e riuscì a sottrarsi all’attenzione dei gendarmi percorrendo ripidi pendii sconosciuti che lo portarono in quel di Briançon. Di lì, proseguì verso il cuore della Provenza arrivando alle porte di Marsiglia dove cominciò a lavorare come manövre da marson - manovale in un impresa edile. Non ebbe mai difficoltà a farsi capire in quanto, a quei tempi, anche gli indigeni del posto parlavano la lingua provenzale che ha affinità col patouà delle nostre valli. Però quando andava a dormire stanco morto dopo 14 ore di lavoro e la sua mente ripassava la giornata di lavoro mentre il suo cuore era gonfio di nostalgia per la famiglia, gli amici, il paese, udendo i rintocchi delle campane della chiesetta, si ricordava sempre dei rintocchi di quelle del suo paese in val Chisone e sognava di ritornare ed intraprendere un nuovo lavoro in Italia. Il ritorno dalla Francia non fu più tanto complicato come quello dell’andata, in quanto non ebbe più problemi alla frontiera ed inoltre aveva in tasca qualche bel franco da investire. La sua permanenza in Provenza durò appena due anni e quando rientrò in Italia, forte nelle braccia e generoso nello spirito dopo l’esperienza fatta all’estero, riuscì ad ottenere dal Comune di Roure la gestione del mulino di Villaretto Chisone, tenendolo per almeno 60 anni e quando, in seguito a varie diatribe burocratiche legate alla gestione dell’acqua per il funzionamento del mulino del grano e di tutti gli altri cereali coltivati da ogni famiglia anche su terreni brulli ed impervi, dovette abbandonarlo, ne fece una malattia.

Questo frammento di letteratura occitana racconta uno spezzato di emigrazione che ha gli stessi toni accorati e drammatici dell’emigrazione dei giorni nostri ed, ora come allora, torna a galla il concetto dell’intruso che viene a rubare il lavoro anche se si tratta di lavori che nessuno vuole fare.

In tutte le composizioni di Guido Ressent si percepisce molto chiaramente l’azione del protagonista, il suoni dell’ambiente, i profumi della natura e lo stato d’animo del soggetto che l’autore con versi toccanti riesce a far affiorare nelle sue rime.

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