Il viaggio di Arnaud: Fenestrelle e il suo Castello
Alla fine anche il nostro Arnaud ha trovato un posto per stabilirsi, senza più girovagare tra la Francia e il Pinerolese: a metà della Val Chisone, poco a monte rispetto ad altre castelli già presenti, il nostro amico, ormai ordinato cavaliere, decide di costruire la sua abitazione.
E, di conseguenza, eccolo qui, come lo vediamo ancora oggi Chateau Arnaud, diventato poi più conosciuto come "la colombaia" del più famoso Forte di Fenestrelle.
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DAI CASTELLI
MEDIEVALI AL FORTE DI FENESTRELLE
Il
forte di Fenestrelle ha una storia più breve e conosciuta ma, nonostante la sua
mole, non vi è stato un gran fiorire di leggende riguardo alle varie sue parti,
così come i suoi angoli particolari, i suoi dettagli caratteristici non hanno
favorito la nascita di storie fantastiche.
Una
singolare eccezione a questa regola è senz'altro quella che riguarda la
torretta tozza e bassa posta su di un impervio roccione a monte del forte Tre
Denti, caratteristica postazione di vedetta in posizione strategica, tale da
consentire ad un solo uomo di controllare bassa e alta valle. Si racconta che
al momento della costruzione, i militari con gran lena innalzavano le pareti
della garitta, sovrapponendo una pietra all'altra e legandole con la malta. La
fatica era immane, il sudore colava dalle fronti ma i soldati, spronati dal
sottufficiale che sovrintendeva alla costruzione, facevano salire i blocchi di
granito e li disponevano con grande maestria. Prendevano così forma le feritoie
di osservazione e la costruzione saliva di quota, giungendo finalmente al
tetto.
Qui
venivano messe in posa le lose di copertura e, al calar delle tenebre, la
costruzione poteva dirsi conclusa. Ma il mattino dopo, raggiungendo la
posizione per iniziare i lavori di un nuovo lotto, i soldati si trovarono di
fronte ad uno spettacolo disarmante: della garitta non vi era più traccia, le
lose della copertura erano spaccate e sparse tutt'intorno, le pietre della
muratura altrettanto. Non vi erano indizi ad avvalorare l'ipotesi del cedimento
strutturale, ma non sembrava trattarsi di un semplice crollo: pareva proprio
che qualcuno, magari qualche forza non terrena, si fosse divertita a
distruggere quel che gli uomini avevano costruito con tanta fatica. Sconfortati
ed anche, perché no, preoccupati per l'insondabile che si celava dietro al
fatto, i lavoranti si apprestarono a ripetere le operazioni che tanto sforzo
erano costate appena il giorno precedente. Di nuovo la struttura venne eretta, di
nuovo la garitta fu completata e trovò il suo posto a guardia dei due versanti
della valle. Ma di nuovo, la mattina seguente, lo spettacolo che si presentò ai
lavoranti fu tremendo: la garitta non c'era più, era stata nuovamente
distrutta!
Quella
che il giorno precedente, nella prima occasione, era soltanto una frase
pronunciata a mezza voce, quasi con vergogna, ora si trasformava in grido:
"Questa è opera del diavolo!"
ed il concetto era rafforzato dal forte odore di zolfo che regnava in quella
zona.
Per
la terza volta, con animo sempre più sconfortato, i soldati diedero inizio alla
costruzione: i lavori procedevano sempre più lentamente, vuoi per la
stanchezza, vuoi per la sensazione di inutilità dell'operato di cui era preda
l'intera guarnigione. Così, questa volta, all'imbrunire la costruzione era
giunta solo a poco più di metà, ed il comandante ordinò la sospensione delle
attività per quel giorno; deciso a non permettere una ulteriore distruzione,
diede ordine che il manufatto fosse sorvegliato nel corso dell'intera nottata
ed impartì precise disposizioni affinché venisse fatto fuoco verso chiunque
avesse osato soltanto avvicinarsi.
I
turni di guardia si succedettero, con timori crescenti da parte dei comandati,
i quali scrutavano le tenebre con la paura di veder spuntare il demonio sotto
chissà quali sembianze, pronto a reiterare la sua malvagia beffa ancora una
volta. Ma nulla di questo avvenne. Al risveglio tutti i militari di stanza al
forte volsero lo sguardo verso la garitta e la ritrovarono là dove l'avevano
lasciata la sera precedente, incompleta ma in piedi. Fu così che il
governatore, visto il successo dell'operazione, non volle forzare il destino e
decise di non procedere ad altri lavori. Il demonio, dal canto suo,
evidentemente si considerò pago dei problemi causati e lasciò in pace il forte.
Da quel giorno la garitta che si erge sul picco quasi a metà salita viene
chiamata "garitta del diavolo”,
ma, visti i gravi problemi connessi alla sua costruzione rimase sempre pervasa
da un’aura di mistero e, con il tempo, divenne il luogo punitivo, dove venivano
mandati i soldati che non rispettavano le regole o si comportavano male: per
loro gli ordini erano di andare a fare i guardiani nella Garitta la quale, come
abbiamo detto, oltre ad essere un luogo carico di sventura, era sita in un’area
difficilmente raggiungibile.
Ma
non è finita qui: quando un soldato veniva mandato nella Garitta per svolgere
il suo ruolo di sentinella, egli era solito portare con sé una candela da
accendere una volta rimasto lassù da solo. Questo gli permetteva di non
rimanere nel buio più completo e gli teneva anche un po’ di compagnia nelle
lunghe e solitarie ore della veglia notturna. Spesso, però, accadeva che la
fiamma della candela si spegnesse improvvisamente. Inizialmente i soldati
attribuivano questi spegnimenti repentini alle correnti d’aria che nella
Garitta erano all’ordine del giorno, vista la sua posizione, ma con il passare
del tempo, le candele si spegnevano sempre più spesso e, di nuovo, tra i
soldati si fece strada il sospetto che anche questi spegnimenti fossero opera
del Diavolo.
Un grazie particolare a Roberto Bourcet
e a Simona Brunet per la collaborazione e l'aiuto
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